R’Infuso
rubrica di poetosofia visionaria e magia neorealistica
da risorseggiare (sempre) con lentezza

 

 

R’Infuso delle 17
di mercoledì 29 ottobre 2025

LA MOSCIAMANA

 

C’era una volta una sciamana moscia.

Una sciamana con duende marce in più rispetto a tutte l’altre: essa era sciamana, essa era moscia.

Eppur non difettava in brio, vitalità, sodezza, consistenza o vigoria, no; neppur per l’erre moscia che n’avea manco, no; né per la mana moscia, da cui il nome, no.

La mosciamana, era un mistero perché si chiamasse così.

Moscia è latinismo; da mŭsteus, «fresco, novello», che vien da mustusmustum: mosto, quindi dolce, come il mosto, che diventa, con la erre moscia che n’avea, mostro, manifestazione metafisica che avverte, ammonisce quand’appare, eppure… era riconosciuta: conosciuta la prima, la seconda pure, per strada, per sentieri, per correnti, percorrendo valli, coi cavalli, perché senza, là, era pianura. Ognuno la pensava quando aveva una semina, o una cresima, o una levantina con cui foderare la propria misera esistenza fatta di privazioni di quella bellezza propria di chi, risolutivamente, avanza lungo la sua carreggiata, in corsia di sorpasso, proprio sopra al passo, che prima lento ora non lo è più. E si sente perduto. E lo sente il suo villaggio, nell’agio villano che taluno si prende nel condurti proprio al suo cospetto, che sta al petto come il coseno sta al seno, secondo la geometria sacra che l’appartiene.

La mosciamana c’era e non. Non la si poteva trovare, se non nei giorni uterini secondo il giuliano del terzo periodo apodittico. Rigorosamente in luna crescente, lievitante quindi, e levitante, perché da levante. Non tutti sapevan quando fosse, ma riuscivan ugualmente ad arrovellarsi ìnsiti in sé stessi, in preghiera o devotamente parlando. E così appariva, sotto forma di mosca, una moscamana, che effluiva con la sua bava scorie secche di malattia in digeribili liquami, cauterizzando le ferite che l’umano porta dentro, da sempre, sempre detto che la mano da dentro apra la porta.

Il bisogno d’essa conduceva perentorio al cospetto suo ed ella al tuo. Un profondo attraversamento nei meandri più aleandri, in difesa di quei popoli che tutti i nostri sé costituiscono. Immaginate di mandare a cosmiche urne tutte le multiple personalità di cui ognuno è fatto, ad eleggere il sovran rappresentante d’un volere di vino, perché l’acqua spesso non è digeribile durante i pasti. È tutta questione di cuorum: il quartum chakrum del nostro flusso energetico in blocco richiede intervento celere e guardingo, ed ecco che la mosciamana, rientrata in sé da dittera forma, ci guida. Basta lasciarsi andare, che prendersi a tornare ci pensa lei. Ma la mosciamana, secondo la tradizione indigena, reca séco un dovere endogeno, e coi numi, accende i lumi nella caverna buia della coscienza. Altera – alta era, e alticcia –, ebbra di spirito, grandemente alcolico. Alterità, come altro da sé. Se non artefatto suo, un fatto tuo, congiunto o conoscente, stra-fatto sì ma di pianta medicina o d’emanazione superiore: la trance, in cui sospinge la coscienza, dà adito a processi e diatribe critiche verso una catartica, catarro-artica, trasformazione del sé, se non fosse che ci devi credere, aver fede cieca, resa muta e sorda sia l’orda delle tue emozioni.

La mosciamana ti riporta a te, mosciamente, tambur battente, sincopatamente fino allo spasmo, al chiasmo, al chiar di luna, che smuove e poi rilascia il femminino, ritrova il mascolino, parla ai prima nati e ai sorpassati, ai trapassati, si fa guida sulla soglia della porta, mosciamente in limine tra il qua e il là, che ti dà perché inizi la sinfonia dell’integrazione taumaturgica delle tue disfatte, che come le hai fatte, così le puoi disfare, in battere e in levare. Non è lei, sei tu, che anche qui hai potere, per te stesso e per lo stesso te.

C’era una volta una sciamana moscia.

Valentino Infuso 

 

Immagine: “La Mosciamana in forma moscamana”

 

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L’INFUSO
scritti di filosofia visionaria e neorealismo magico

di Valentino Infuso
edito da Edizioni Sovversive Porto X
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