Porto X

Da dove possiamo Iniziare?

Dai gesti ripetuti, dalle azioni quotidiane, dalle abitudini, da ciò che penetra nei nostri occhi dal risveglio al nuovo sonno, dalle parole…

Sì, iniziamo dalle parole, perché no? Le parole hanno un potere magico sottovalutato dai più, esse risuonano, scuotono, sono frequenza, onda, temperatura, colore, vibrazione. Più pronunciamo una stessa parola più questa avrà impatto nella nostra quotidianità. Questo avviene sia quando ne siamo pienamente consapevoli, attraverso le preghiere o i mantra, sia agendo nell’inconsapevolezza al di là della nostra intenzione conscia circa ciò che usiamo per dire cose.

La parola scritta ha certamente questo potere. Ma il fonema, credo, ancora di più. “Verba volant, scripta manent” (le parole dette volano, quelle scritte restano) la pronunciò un certo Caio Tito al senato romano con un’intenzione opposta al senso che comunemente le diamo quando ci divertiamo a citare questa abusata locuzione latina: le parole dette volano ovunque, mentre quelle scritte restano fisse, immutabili, non si muovono, quindi stagnano, a meno che non vengano pronunciate e allora iniziano a volare, a diffondersi, a passare da individuo ad individuo, a muoversi e a muovere, a smuovere, da anima in anima, in sostanza atrasformare. La parola scritta infatti ha bisogno di essere pronunciata perché si attivi magicamente, a differenza del simbolo, che necessita di essere fissato nella materia, solida o sottile che sia,  attraverso il suo segno più che col suo “nome” pronunciato: visualizzare il segno del simbolo Choku Rei, ad esempio, ha una efficacia “magica” assai più potente che non  la mera pronuncia del suo fonema “chokurei”. Ci sono poi, meraviglia delle meraviglie, quelle parole rare che hanno una portata magica sia come fonema che come simbolo, una su tutte: Abracadraba! (che “guarda caso” vuol proprio dire“Creo quel che parlo”, ma guarda un po’…)

Quello che mi preme ora non è il focus sulle parole magiche quanto sull’uso magico delle parole.

Quindi, da dove Iniziare?

Iniziamo pure dal riconoscere quali sono i nostri fonemi abituali e ricorrenti, ossia quelle parole che nell’arco delle nostre giornate pronunciamo di più. Un buon Inizio è eliminare alcune parole dal proprio frasario, dalle proprie abitudini mentali in virtù della riconosciuta loro valenza magica. Riconoscere quali quelle indotte dall’esterno, dalla cultura, dalla famiglia d’appartenenza, dall’ambiente di riferimento, dalla società, e così via: queste sono perversamente magiche.

Prendiamo ad esempio tutte quelle definizioni tanto in voga che iniziano col prefisso no più qualcosa a seguire che si vuole negare: no-global, no-tav, no-expo, no-vax, no-greenpass, no-mask, eccetera eccetera eccetera, tutte definizioni queste coniate dal sistema al fine di agevolmente catalogare, incasellare, etichettare, fare di tutta l’erba un fascio, per poi delegittimare, il dissenso critico, o meglio i dissensi critici gettandoli in un unico calderone di un no-qualcosa intorno al quale non può che aleggiare l’olezzo di un non so che di ridicolo e superficiale. Ecco, questo è un esempio di uso perversamente magico della parola: delegittimo il dissenso sulla pizza, definendo come no-pizza colui che anche a ragion veduta dissente sulla pizza. La cosa peggiore però non è tanto la creazione di queste etichette da parte del sistema quanto la loro accettazione da parte di chi in esse poi finisce col riconoscersi: siamo no vax! Siamo no greenpass! Perché è peggio? Semplicemente perché la magia non funziona per negazione. Mi spiego: per eliminare o ridurre il potere ad una parola la prima regola aurea è: non pronunciarla più. Continuare invece a pronunciarla, tanto ci mettiamo il no davanti per dire che quella cosa non la vogliamo, in realtà non la nega affatto anzi la fortifica. Perché? Sembrerebbe abbastanza intuitivo: continuo a pronunciarla con forza, facendone un uso inconsapevolmente magico. E quel no diventa assolutamente irrilevante.

A quanto pare, a livello vibrazionale “l’Universo non riconosce il no” accanto ad una affermazione, a maggior ragione all’interno di un’invocazione. Il che vale a dire che urlare “no-greenpass!”, per esempio, equivale ad evocare esattamente quello stesso greenpass che si vuole annientare. Poiché l’affermazione sarà sempre più potente della negazione, quel no davanti ad una affermazione sparisce. Il “No!” ha valore magico quando è affermazione di una sacra Scelta di negazione, che è diverso dal semplice negare qualcosa: saper dire “No!” quando è no, e “Sì!” quando è sì.

Insomma, per materializzare nuove realtà occorre trovare nuove parole, ora, nel nostro quotidiano, dove la nostra Pratica magica trova il suo senso concreto.

Di Valentino Infuso