R’Infuso
rubrica di poetosofia visionaria e magia neorealistica
da risorseggiare (sempre) con lentezza

 

 

R’Infuso delle 20
di mercoledì 22 ottobre 2025

IL SÉ FRATTO TUTTO

 

Qual è la frazione di Me che dedico a ciò che è fuori da me?

In quante frazioni posso suddividermi?

In quante frazioni è giusto suddividere Me senza frammentarmi?

Senza sparire? Senza perdere il focus? Senza perdere presenza? Senza smarrirmi?

In quante frazione di Me?

Se Prendersi cura è dedicare una frazione di Sé a ciò che è fuori da sé, in quanti frazioni di sé ci si può suddividere prima di perdere sé stessi?

A quel punto non c’è più nulla da frazionare, da dare, da nutrire, di cui prendersi cura.

C’è chi preferisce prendersi cura di ciò che è fuori da sé apposta: apposta per perdere sé e non badarci più.

C’è chi preferisce non frazionarsi per niente e per nessuno apposta: apposta per non rischiare di perdere sé, ma un sé a quel punto inconsistente, perché non si fraziona con niente e nessuno se non con se stesso.

In matematica, la frazione è un rapporto fra due grandezze omogenee e commensurabili, di cui la prima ( numeratore ) indica quante volte si debba prendere dell’intero una parte pari alla seconda ( denominatore ).

Se a numeratore metto il Me, che son da frazionare e a denominatore tutte le cose, gli esseri, i luoghi, le esperienze, posso ottenere un “indice di cura”?

Un appropriato indice di cura che definisca la misura della verità delle relazioni tra tutto ciò che esiste. Ma anche tra ciò che esiste e ciò che non esiste più o non esiste ancora.

Se usiamo l’indice M per indicare Se stessi e l’incognita X per indicare l’insieme di tutto ciò – esistente, non esistente più o non esistente ancora – di cui prendermi cura, allora possiamo dire che l’indice frazionario di cura sarà dato da:

M
––––––
X

leggasi M fratto X

ossia, la frazione di dedicata al prendersi cura di uno degli elementi contenuti in quel calderone incognito X.

Ma quel calderone incognito indicato con la X non ha tanto senso. Che significanza può mai avere un insieme unico che inglobi indistintamente tutto ciò di cui sento il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prendermi cura? Per non parlare del senso di mistero che aleggerebbe su questo indistinto insieme dato proprio all’incognita X: vorrebbe dire che non abbiamo la benché minima di cosa o chi prenderci cura! Càpita anche questo, eh sì, càpita

Meglio dunque procedere specificando i diversi insiemi di ciò e di chi sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prendersi cura; i diversi insiemi, contenente ciascuno una determinata categoria di elementi esistenziali di cui prenderci cura.

Potremmo per esempio indicare con A l’insieme dei soli esseri umani di cui prenderci cura:

A= {figli, genitori, compagni, amici, eccetera}

Per cui se indiciamo con a1 (minuscola) il figlio, diremo che a appartiene all’insieme A degli esseri umani di cui mi prendo cura, e scriveremo:

a1 =figlio a1 A.

Similmente se indichiamo con a2 il padre, scriveremo:

a2=padre a2 A

e così via, per ciascuno degli esseri umani di cui sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prenderci cura.

Indicando infine tutti gli n elementi della classe esseri umani di cui ci prendiamo cura, avremmo allora ben chiaro il nostro primo insieme:

A={a1,a2,a3 …n}

Limitandoci esclusivamente a questo insieme come a dire che dedico una parte di me (frazione) solo agli esseri umani a me più cari –, allora il mio indice frazionario di cura (Ic) sarà dato da:


M
Ic= ––––––––––––––––
         A ={a1,a2,a3 …n}

leggasi: M, il Sé, fratto l’insieme A degli innumerevoli esseri umani di cui mi prendo cura.

Ma il nostro prenderci cura non si limita – fortunatamente, direi – a quell’insieme di affetti che ci legano agli esseri umani più vicini e, senza inoltrarci in cosa vogliamo veramente dire col termine vicinanza, potremmo divertirci ad introdurre l’insieme B degli animali, domestici, selvatici che siano, e vegetali di cui ci troviamo a prenderci cura. Avremo così:

M
Ic= ––––––––––––––––––––––––––––––––––
       A ={a,b,c…n};B={b1, b2, b3… bn)}

 

leggasi: M, il Sé, fratto l’insieme A degli innumerevoli esseri umani di cui mi prendo cura e l’insieme B degli innumerevoli esseri animali e vegetali di cui mi prendo cura.

Possiamo osservare come il numeratore M del Sé inizia a disgregarsi di più rispetto a quando ci si prendeva cura solo dell’insieme A degli esseri umani.

Ma il nostro prenderci cura non si limita – fortunatamente, continuerei a dire – a l’insieme degli affetti umani e animali-vegetali. Ci sono i luoghi per esempio, la stanza, la casa, il prato, la strada, la spiaggia, il bosco, il capannone, la casetta sull’albero che vorrei costruire, il rifugio, l’orto… e ci sono le cose: il modellino di aeroplano, l’auto o la moto, la libreria, il vaso, il letto, l’anello, un regalo, eccetera. E allora, fatto C l’insieme dei luoghi di cui mi prendo cura e D l’insieme delle cose di cui mi prendo cura:

M
Ic= ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
 A ={a,b,c…n};B={b1, b2, b3… bn}; C={c1,c2,c3…cn}; D={d1, d2, d3… dn}

leggasi: M, il Sé, fratto l’insieme A degli innumerevoli esseri umani di cui mi prendo cura, l’insieme B degli innumerevoli esseri animali e vegetali di cui mi prendo cura, l’insieme C degli innumerevoli spazi di cui mi prendo cura e l’insieme D delle innumerevoli cose di cui mi prendo cura.

Osserviamo quanto, ora, il numeratore M del Sé si disgreghi ancor di più rispetto a quando ci si prendeva cura solo dell’insieme A degli esseri umani e dell’insieme B degli animali.

Ma il nostro prenderci cura non finisce qui, fortunatamente, continuerei a continuare a dire. Per non dilungarci oltre (potremmo spaziare ancora, per esempio in insiemi che vanno dalla cura dei morti, fino alla cura dei sogni nel cassetto) per semplicità – non vi prendo in giro, giuro – definiamo N generici insiemi possibili, tanti quanti saranno gli insiemi di tutto ciò di cui siamo chiamati a prenderci cura. Il nostro nuovo indice frazionario di cura allora sarà:

M
Ic= –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
    A ={a,b,c…n};B={b1, b2, b3… bn}; C={c1,c2,c3…cn}; D={d1, d2, d3… dn}… N={n1, n2, n3…nn}

leggasi: M, il Sé, fratto gli N insiemi distinti di ciò e di chi sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prendersi cura.

Ma non è finita qui.

Non tutti gli elementi all’interno di quelli insiemi hanno la stessa “importanza”, diciamo così. Magari in un determinato periodo l’elemento a1 (il figlio) avrà più bisogno (o io avrò più bisogno) che me ne prenda cura rispetto all’elemento a2 (il padre) o l’elemento a3 (il partner, l’amico o chi che sia). Da cui si evince che per ciascuno degli elementi degli insiemi i pesi non sono uguali, ma la cura per ciascun elemento sarà necessariamente ponderata. Disponendo di un insieme di coefficienti di ponderazione

W={w1,w2,…,wn}

dove ogni 𝑤i è il peso assegnato a ciascun generico elemento ai, bi, ci, eccetera, possiamo a questo punto teorizzare un nuovo indice frazionario ponderato di cura:

M
Icp= ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
A={a1w1, a2w2, a3w3…anwn} ; B={b1w1, b2w2, b3w3…bnwn} ; C={c1w1, c2w2, c3w3…cnwn} ; D={d1w1, d2w2, d3w3…dnwn} … N={n1w1, n2w2, n3w3…nnwn}

leggasi: M, il Sé, fratto gli N insiemi distinti di ciò e di chi sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prenderci cura, ciascuno con diversa intensità.

La nostra disgregazione del Sé risulta ora potenzialmente infinita. Ed è un bene? È un male? Mah, non saprei…

Intanto abbiamo ancora qualche inghippo matemagico – abbiate pazienza –, dato a denominatore della nostra frazione da quella serie di insiemi di elementi con intensità di cura differenziata: così come è scritta, come mero elenco di elementi, senza una specifica relazione tra essi, rischiamo di perderci – Ciaone! direte voi, da mo che me so perso! Propongo di frazionare quindi M, il Sé, per la sommatoria degli insiemi (degli elementi ponderati) riunendoli in quell’unico calderone fatto da tutto ciò e tutti chi chi più chi meno sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prenderci cura:

M
Icp= –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
A{a1w1, a2w2, a3w3…anwn} B{b1w1, b2w2, b3w3…bnwn} C{c1w1, c2w2, c3w3…cnwn} D{d1w1, d2w2, d3w3…dnwn} N{n1w1, n2w2, n3w3…nnwn}

dove è il simbolo unione.

Leggasi: M, il Sé, fratto quel calderone di tutti gli N insiemi distinti di ciò e di chi sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prenderci cura, ciascuno con diversa intensità.

Ma se vogliamo riportare il tutto con una formula più elegante – sempre mi ha affascinato l’idea tutta matematica di eleganza -, dato che:

A B C D N={ai, bi,ci,di…ni | aA ˅ b∊B ˅ c∊C ˅ d∊D ˅˅ n∊N}

dove il simbolo ˅ è la “o” inclusiva di tutte le alternative possibili del prendersi cura differenziate unite assieme, allora potremmo elegantemente scrivere:


Ic
p= M / {ai, bi,ci,di…ni | aA ˅ b∊B ˅ cC ˅ d∊D ˅˅ n∊N}

Leggasi: M, il Sé, fratto l’insieme differenziato di tutti gli n elementi distinti di ciò e di chi sentiamo il bisogno, la spinta, il dovere, la necessità, l’importanza, eccetera, di prenderci cura.

La disgregazione del Sé è asintoticamente devastante, ossia vediamo come sia possibile tendere alla devastazione del Sé senza tuttavia mai arrivarci.

Ma a dirla tutta, quel numeratore (il Sé) che sembra diminuire sempre di più al crescere del denomimatore (cio e chi di cui ci prendiamo cura), ad ogni piccolo o grande gesto di cura in realtà si espande esponenzialmente ed in misura maggiore all’indice frazionario.

Perché tutto questo calcoloso ragionamento?

Perché al di là del pensiero logico-razionale

alla base di qualunque senso possiamo trovarci o meno,

la scelta migliore che possiamo fare è
prenderci cura.

Sempre.

Perché,

ogni essere di cui ci si prenderà cura, disgregando sé stessi, verrà ad esser parte del Sé,

e l’atto stesso del prendersi cura

di ciò che è fuori da Sé

inesorabilmente accrescerà il Sé,

prendendosene cura.

Perché ciò di cui mi prendo cura finisce con l’appartenermi. Ed io ad appartenere a ciò di cui mi prendo cura. Vige una specie di usucapione animico nell’Universo.

Il figlio sentirà appartenenza alla genitrice che lo ha partorito o alla levatrice che lo ha allattato e cresciuto? La moglie è sposata col marito ormai apatico e indifferente o con l’amante appasionato che se ne prende cura? Il vecchio padre è più legato ai figli di sangue che non vede mai o all’anima di una ragazza o un ragazzo che condivide con lui le sue esperienze e fa sentire di esserci? La quinta casa appartiene al un benestante che l’ha acquistata ma che ci va una volta l’anno o alla famiglia numerosa che la vive abusivamente mantenendola come se fosse propria? Il cane, è fedele a chi lo ha comprato dall’allevamento o a chi gli dà da mangiare? Gli esempi possono essere infiniti

E, giacché
“non esiste nessuna elegante equazione che può spiegare la nostra esplosione”
d’espansione nel prendersi cura,

Non pensiamoci più.
Prendiamoci cura.
E basta.

Valentino Infuso 

 

Immagine: “Prenditi cura!”

 

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L’INFUSO
scritti di filosofia visionaria e neorealismo magico

di Valentino Infuso
edito da Edizioni Sovversive Porto X
E’ possibile richiedere il volumetto direttamente al Porto o via mail: info@porto-x.com
Il Valore di questo libro è in chi lo legge
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