
R’Infuso
rubrica di poetosofia visionaria e magia neorealistica
da risorseggiare (sempre) con lentezza
R’Infuso delle 17
di mercoledì 5 novembre 2025
AUTODAFÉ FAIDATÉ
ossia, come fustigarsi con soddisfazione senza consultare il boia di fiducia
autodafé,
o auto da fé o sermo generalis, era una cerimonia pubblica, facente parte soprattutto della tradizione dell’Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita, coram populo, la penitenza o condanna decretata dall’Inquisizione.
fài da té (o faidaté)
locuz. usata come s. m. e agg. [calco dell’ingl. do it yourself]. – Espressione con cui è spesso reso in ital. il termine fr. bricolage. Con uso estens., nel linguaggio giornalistico, ogni attività eseguita per conto proprio, senza il concorso di altri; anche come agg.: l’esteso fai da te del volontariato; cresce in America l’istruzione fai da te; dieta faidaté, adottata senza consultare il dietologo.
Treccani
Occorrente
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pezzi del tuo legno e di altro legno a caso
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chiodi fissi di varie misure
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una confezione di grossi e pesanti rimproveri per martellare
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dischetti rigidi di autocritica abrasiva
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scampoli del tuo tempo, anche già usurati
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un banco da lavoro precario
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stabilizzatore genealogico di senso di colpa
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occhio (e, se necessario, croce)
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kit base da sindrome dell’impostore
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una matassina di speculazione filosofica (in dotazione con questo scritto)
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un elefante
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occhiali protettivi da visione d’insieme
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secchio per piattume esistenziale indifferenziato
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un cacciavittime a stella
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solvente all’acqua santa
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un paio di radicate credenze antinfortunistiche (opzionali)
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un capiente crogiuolo di dolore
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un flacone di compromesso disinfettante
Avvertenza prima della messa in opera
Assicurati, prima di metterti all’opera, di non essere completamente in grado di intendere e di volere.
Si consiglia l’avvolgimento mentale con la speciale matassina di speculazione filosofica fornita in dotazione, onde evitare che un’eccessiva razionalità possa inficiare il libero lavorio della visione.
Fatto? Bene, cominciamo pure.
Istruzioni
Prendi un pezzo del tuo legno. Prendine un altro. Un altro ancora. Prendine almeno quattro. Disponili sul tuo banco di lavoro precario, dopo che della precarietà ne hai verificato la stabilità. Prendi dei chiodi fissi (se non li trovi nella cassetta, cerca nel cervello, lì qualcuno ne trovi sempre); afferra un rimprovero bello grosso dal tuo kit base da sindrome dell’impostore e inizia a martellare con forza.
Inizia col collegare assieme i pezzi del tuo legno, con un martellamento costante, sugli stessi chiodi fissi, quelli di sempre, con cui hai dimestichezza e che ben conosci.
È probabile che in questa fase del lavoro si palesi un certo piattume esistenziale: smaltiscilo nell’apposito secchio, sempre quello, dove tutto è indifferenziato.
Prendi altri tre pezzi del tuo legno, e collegali ai primi quattro già assemblati, e cerca di dare profonda tridimensionalità alla tua costruzione mentale. Regge? Si può tenere in piedi da sola? Ma i piedi non li ha quindi, a questo punto, tocca farglieli. Se vuoi procedere con cautela, che siano di piombo; se sogni, mettiglieli per terra; se, rispetto alle tue possibilità, senti la questione gigante, faglieli d’argilla.
Giunto a questa fase, cerca pezzi di altro legno a caso, e uniscili agli altri. Continua a martellare col rimprovero pesante, usando nuovi chiodi fissi, giacché arrivato a questo punto quelli di sempre li hai già finiti. Non temere, stanno sempre là a tener tutto insieme.
Nel maneggiare nuovi chiodi fissi, attenzione a non martellarti un dito. Se succede, prima bestemmia, poi contempla. Bestemmia in silenzio però, per non offendere nessuno. Contempla il tuo dolore crogiolandoti in esso, utilizzando un apposito crogiuolo sufficientemente capiente. Se è successo, sai già che te lo meritavi. C’è sempre un motivo per essere puniti. E se, attraverso lo stabilizzatore genealogico ereditato dai tuoi, il senso di colpa è soddisfacentemente stabile, può allora rendersi necessaria una svolta, un giro di vite. Usa l’apposito cacciavittime a stella fornito in dotazione. Se sgorga sangue, consideralo un necessario tributo che impreziosisce, informandolo, il tuo artefatto. Disinfetta con abbondanti compromessi denaturati a novanta gradi e va avanti.
Pulsa il dito, accusa anche, giudica, ma tu va avanti. Se il sangue ha macchiato il legno in uno o più punti, imbelletta quei punti. Trova il modo. Ora, tu e il legno, siete accomunati. Non distrarti, togli gli occhiali protettivi, prendi visione d’insieme e procedi oltre.
Se non vuoi che quella costruzione serva necessariamente a qualcosa, allora sentiti sereno nell’accogliere in te un certo grado di soddisfazione. Percepisci, ora, quanto l’insoddisfazione sia solo una condizione della mente?
Riosserva tutto. Mettitici davanti, ma di spalle, affinché tu sia costretto a guardare indietro voltandoti . L’avanti non è mai stato un tuo problema, continua così.
Cosa manca? Perché manca sempre qualcosa, non è vero? Quanto infinitamente incompleto è tutto ciò che facciamo? Pensalo. Percepisci, ora, quanto cronicizzata possa essere la condizione mentale dell’insoddisfazione?
Come sta procedendo? Chieditelo, guarda, osserva, scruta, ammira, critica quello che stai realizzando. Giudica!
Cosa ci vedi? Ti rassomiglia? Se non ti rassomiglia smonta tutto e ricomincia daccapo. Sennò chiediti: quali particolari sensazioni provoca in me tale rassomiglianza tra me e ciò che ho costruito finora?
Se ti chiedi che senso abbia quello che stai costruendo, impiegando tra l’altro quei pochi scampoli già usurati del tuo tempo, è probabile che subirai un accelerazione nel processo di ammuffimento delle fibre neurali che compongono il materiale del tuo artefatto. Procurati del solvente all’acqua santa e benedici i tuoi peccati: in cosa sprechi il tuo tempo sacro? In quale cosiddetto dovere? Quante volte, figliolo? Ripeti tre volte: “Ego me absolvente”.
Senti, ora, quanto la ricerca di un senso sia un mero fatto umano decisamente sopravvalutato e pressocché distraente?
Nessuna distrazione. Non pensare all’elefante. Quale? Non importa, tu non pensare all’elefante, Ti sei distratto pensando di non pensare all’elefante. Nessuna distrazione. Torna presente. E smettila di pensare all’elefante.
Concentrati. Riguarda il tuo artefatto. Ti ricorda un elefante? Ti sei distratto ancora una volta. Meriti una seconda martellata. Sullo stesso dito di prima, quello giudicante. È successo ancora perché la prima botta non ti è bastata per imparare, te n’è servita un’altra. E tieni presente che non sarà neanche l’ultima. Sta’ all’occhio! Che la croce ce l’hai già.
Nota: se sanguini, torna all’apposito punto di cui sopra ed esegui di nuovo le istruzioni medicali.
A questo punto, dacci dentro! Libera la tua energia creativa immaginando la migliore delle forme che la tua costruzione mentale può assumere. Esagera, osa, con un senso di libertà che mai ti sei concesso prima.
Lo hai immaginato? Ora realizzala, e fa il più possibile somigliare il tuo artefatto a quello immaginato. Nel caso dovessero affiorare dalla tua immaginazione pericolose e indesiderate schegge di follia creativa, si consiglia di levigarsi l’anima con un buon dischetto rigido di autocritica abrasiva.
Ora guarda. Se il tuo artefatto non somiglia a quanto immaginato è perché esigi che esso abbia una sua coerenza funzionale, ma anche un certo senso consolatorio. Deve essere comodo. Vuoi che ti piaccia e che ti serva. Ma per la realizzazione del Piacere e del Servizio si rimanda all’apposito manuale. Intanto, non ti accorgi che ti sta già servendo, che ti sta già piacendo: ti serve nel farlo, ti piace guardarlo mentre ne elabori forma e struttura.
Quanto è grande ora il tuo artefatto mentale?
Ti ci puoi infilare dentro?
E ti piace?
E ti serve?
E in cosa ti serve?
E per cosa ti serve?
Per fare che?
Ecco.
La tua opera è ora incompiuta.
Congratulazioni e grazie per averci scelto.
Valentino Infuso
Immagine: “Kit di assemblaggio dell’anima”
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